Velo Veronese: un paese sulla scena per un paese in scena
di Ezio Bonomi
Probabilmente (ma vorrei dire: senz’altro) uno tra i paesi della Lessinia che più di tutti ha mantenuto le caratteristiche di comunità genuina e compatta, solidale e all’unisono, poco contaminata da mode o atteggiamenti allogeni è Velo Veronese. Forse perché geograficamente più discosto e quindi meno sottoposto ad influenze esterne; forse perché socialmente e economicamente più egualitario o forse ancora perché prima e più degli altri ha gelosamente saputo difendere i valori tradizionali del passato fino all’attuale loro rivalorizzazione, Velo sa ancora dare l’idea di un paese senza grosse divisioni sociali, economiche e politiche, cosa che una volta forse si poteva dire di tanti altri. Ha saputo dimostrarlo egregiamente anche con lo spettacolo teatrale intitolato: La Madona l’à portà la luce, approntato l’estate scorsa per allietare in qualche serata gli ospiti e i residenti di Velo e dintorni, ma che ha ottenuto un gradimento di pubblico insperato al punto che repliche sul posto, oltre a quelle estive, sono state richieste anche nel febbraio scorso ed altre rappresentazioni sono state effettuate a Verona, a S. Martino Buon Albergo, a Grezzana e altrove.
Principale artefice dell’iniziativa, nonché regista ed attore egli stesso, è stato un multiforme e promettente studente universitario del luogo, Alessandro Anderloni, che durante un intero inverno, frequentando le famiglie del paese, insieme ad attori e coristi, ha raccolto, oltre alle testimonianze dei più anziani, quant’altro di documentale e concreto era possibile reperire riguardo l’allestimento della festa e le cerimonie in occasione dell’arrivo a Velo della Madonna Pellegrina nel maggio del 1950. Ha recuperato fotografie, volantini di devozioni, testi e musiche di canzoni appositamente composte, stendardi, luminarie, divise e medaglioni dei vari gruppi associativi parrocchiali dell’epoca (ricercando anche nelle sacrestie col consenso del parroco). Ha quindi messo insieme il tutto stendendo il canovaccio per uno spettacolo di circa due ore. «Ma non era la stesura definitiva – afferma egli stesso – perché nel corso delle numerose prove ogni attore od occasionale spettatore portava il proprio contributo con più precise informazioni, con nuovi particolari, con battute originali o spontanee che necessariamente sono confluite nel testo definitivo». Il giovane regista ha saputo sfruttare a fini scenici tutto ciò che il paese offriva, come la presenza del valido coro “La falìa” che entra nello spettacolo rappresentando il coro dell’epoca.
Ne è sortita una recita che, nonostante il titolo, non è di argomento religioso a scopo edificante; la Madonna è il “deus ex machina” attorno cui ruota la rappresentazione fedelissima e gustosa delle scene della vita, dei personaggi caratteristici, dei problemi e delle difficoltà della gente di un paese della Lessinia (che è Velo, ma potrebbe essere qualsiasi altro) attorno alla metà del secolo. E c’è posto per tutti: per il parroco severo, per il curato intraprendente, per le suore pie ed esagitate, per la nonna proverbialmente saggia, per l’ubriacone incallito, per il tecnico strambo e geniale, per l’ostessa curiosa e pettegola, per i fidanzati timorosi, per i pettegolezzi delle comari in piazza, per le riunioni serali del filò, per le adunanze parrocchiali, ecc. Tutto questo tra le mani di un estraneo avrebbe offerto il fianco forse alla derisione, alla critica dell’ignoranza alla dimostrazione dell’ingenuità, del pietismo o della bigotteria della gente del tempo; ciò non può avvenire nelle mani di uno del luogo. La rappresentazione è fedele ma rispettosa, faceta senza irriverenza, ridicola senza derisione. Per questo è piaciuta a tutti: agli anziani perché hanno rivissuto le emozioni di quei momenti (a più di uno si è rigato il viso di lacrime, incerto tra il riso e la commozione); è piaciuta ai giovani perché vi hanno visto rappresentata la vita dei loro nonni; è piaciuta agli estranei perché hanno conosciuto i valori di una civiltà diversa per epoca, ambiente e circostanze.
È uno spettacolo che nei momenti culminanti vede in scena circa settanta persone, uomini, donne, bambini, adulti e anziani, per cui quasi ogni famiglia del paese vi è coinvolta. È tutta gente del luogo, per cui nessuno ha esperienza di recitazione, ma tutti si muovono sul palcoscenico con sicurezza e spontaneità incredibili: sembra quasi che i gesti e i modi di vita degli antenati che si sono ripetuti uguali nei secoli siano penetrati nel sangue al punto di esservi ancora presenti in quello dei contemporanei. «È stata un’esperienza pure coagulante ed educativa – afferma l’attuale parroco don Luigi Sartori – perché la collaborazione di persone diverse per età, idee, professione e condizione sociale; tendente al raggiungimento di uno scopo unitario, è senz’altro cementante per una comunità. Inoltre se questo si verifica per un’iniziativa il cui contenuto è storicamente e moralmente valido, l’iniziativa consegue anche risultati educativi. Il successo serve poi a rendere le persone giustamente orgogliose del proprio operare». «Ma le difficoltà sono tante ed enormi – aggiunge il regista – perché organizzare, tener unito e disponibile contemporaneamente un gruppo di 70 persone così eterogeneo è un’impresa ardua, anche se l’entusiasmo dei partecipanti va sempre più aumentando».
Tra i vari argomenti, tre temi che godono di particolare risalto ci pare meritino di essere evidenziati. La religiosità schietta ma semplice, quasi ingenua e miracolistica: dopo l’arrivo della Madonna nelle famiglie aumenta l’armonia, i morosi possono finalmente incontrarsi ufficialmente, i lontani fanno avere notizie di sé e gli emigranti ritornano, l’intera comunità ha imparato che collaborando in armonia si possono realizzare grandi cose e vivere più serenamente. La guerra è finita da cinque anni; anche se la vita sta riprendendo vigorosa ed entusiastica, in alcune famiglie sono rimasti dei vuoti incolmabili, nel cuore di qualcuno cova ancora il dolore e talvolta la rabbia, dagli occhi dei bambini traspare talora il terrore e lo sconcerto di quei tragici momenti. È un periodo di grandi mutamenti, che segna la fine del modello di vita tradizionale; è arrivata la luce elettrica e con essa sta arrivando la televisione che soffocherà il millenario filò nelle stalle al chiarore del lumino e al tepore degli animali; stanno arrivando pure le automobili, ma non mancano i problemi: qualcuno per guadagnarsi da vivere deve ancora andare a cercar lavoro all’estero.
In conclusione, al regista come al paese di Velo ci par doveroso dire grazie per questa pagina di storia sociale che ci hanno fatto rivivere, complimenti per la splendida esecuzione e per il felice esito dell’iniziativa, uniti ad un incoraggiamento a proseguire, perché la strada intrapresa ci sembra proprio quella giusta. Ma già par di sentire che forse qualcosa è in programma anche per quest’estate.
La Lessinia – Ieri Oggi Domani”, Quaderno Culturale n.17, 1994